di Armando Polito
Carte 92 e 93.
Sento di troppo ardir nascer paura, Petrarca, Canzoniere, CLXXVII, 11.
Ipse subibo umeris. Nec me labor iste gravabit (Io stesso ti sosterrò sulle spalle. Né questa fatica mi peserà), Virgilio, Eneide, II, 708.
Carte 94 e 95.
Non pò più la virtù fragile e stanca, Petrarca, Canzoniere, CLII, 9. Debile per fragile è dovuto alla citazione a memoria.
Maius opus moveo. Rex arva Latinus et urbes (Promuovo un’opera alquanto grande. Il re Latino i campi e le città), Virgilio, Eneide, VII, 45.
Carte 96 e 97.
Cosa bella mortal passa, et non dura, Petrarca, Canzoniere, CCXLVIII, 8; Ogni cosa mortal Tempo interrompe, Petrarca, Trionfi. Trionfo del Tempo, 114. Qui il motto nasce dalla fusione dei due versi petrarcheschi.
Virgilio, Eneide, I, 281: Consilia in melius referet, mecumque fovebit (Volgerà in meglio le sue decisioni e insieme con me sarà favorevole); X, 632: Ludar, et in melius tua, qui potes, orsa reflectas! (Possa io sbagliarmi e tu, che lo puoi, possa volgere al meglio i tuoi destini!).
Carte 98 e 99.
Et ho già da vicin l’ultime strida, Petrarca, Canzoniere, CCCLXVI, 61.
Te doctis lacrimant numeris; tu maestus in umbra/dilecti cervi vulnera saeva gemis (Ti piangono con dotti versi; tu mesto nell’ombra compiangi le crudeli ferite del diletto tronco).
Il lavoro del nostro frate si chiude con un distico elegiaco di sua creazione e l’ultima figura sembra riscattare la ripetitività delle precedenti in una sorta di trasfigurazione dell’albero che è diventato una statua decapitata, la cui testa, però, giacente in un angolo, ricorda le corna di un cervo. Si tratta anche di un gioco di parole tenendo conto che cervus in latino significa cervo ma anche, per traslato, tronco forcuto. E tu maestus in umbra è ricalcato sul tu, Tytire, lentus in umbra (tu, Titiro, tranquillo sotto l’ombra) di Virgilio (Ecloghe, I, 4), l’autore da cui il nostro frate ha maggiormente attinto.
Dopo due carte bianche ce n’è una non numerata:
Sono 5 distici elegiaci in cui Fra’ Giovanni Sezzo loda l’autore del manoscritto che, dunque, si chiude con uno scritto laudativo così come si era aperto con quello di Valerio De Palma. Di seguito ne fornisco la scansione e la traduzione.
Segnalo che un sonetto consolatorio per Vittorio Prioli fu scritto pure dal leccese Giovanni Domenico Salviati in Rime, Pietro Micheli Borgognone, Lecce, 1633, p. 48. Lo riporto con qualche mia nota di commento.
Al Sig. D. Vittorio Priuli per il suo Cipresso caduto
Drizzò l’alta Reina un Mausoleo
del Consorte al moria di bronzi, e marmi,
ma tù d’illustri, e risonanti carmi
al caduto Cipresso ergi un trofeo.
E bench’estinto il gran Maroneb, e Orfeoc,
e gli altri che cantar d’amore e d’armi
poggiando su ‘l cavallo Pegaseod,
così vedrassi da l’oblio profondo
sottratto, e al tempo, insidioso mostro,
l’Arbor ch’amò già Febo in corpo humanoe.
Opra è, Signor, de la tua nobil mano,
ch’alza, e solleva ogni più grave pondof,
e quasi eterna i tronchi al secol nostro.
a Artemisia, sorella e moglie di Mausolo, satrapo di Caria, alla morte del congiunto avvenuta nel 353 a. C. gli eresse una tomba monumentale ad Alicarnasso. Era una delle sette meraviglie del mondo e da Mausolo trae origine il nome comune mausoleo.
b Publio Virgilio Marone, il poeta latino del I secolo a. C., autore dell’Eneide.
c Mitico cantore che piegava gli animali e tutta la natura al suono della sua lira.
d Mitico cavallo alato, simbolo della libertà del poeta.
e Ciparisso (da cui cipresso) era un giovane amato da Apollo (Febo è un appellativo del Dio) che dopo aver ucciso accidentalmente il cervo regalatogli dal dio chiede a quest’ultimo che il suo pianto non abbia mai fine. Così Apollo lo trasforma nel cipresso da cui sgorga laresina le cui goccioline somigliano a lacrime.
f peso.
Siamo alle conclusioni. Francesco Cuomo è un epigono di quella produzione letteraria di stampo erudito-moraleggiante (senza escludere, secondo il mio punto di vista, una punta di esibizionismo culturale …) continuata fino al secolo XVIII, che aveva avuto i suoi maggiori esponenti anzitutto in Andrea Alciato, Emblemata, Heinrich Steyner, Augusta, 1531) e poi in Cesare Ripa, Iconologia overo descrittione dell’immagini universali cavate dall’antichità et da altri luoghi, Eredi Gigliotti, Roma, 1593).1
La tecnica utilizzata è semplicissima: basta collegare un motto (quasi sempre una citazione da un autore famoso) con un’immagine e il nostro emblema (o insegna) è bell’e pronto2. Si comprende come in questo tipo di produzione l’immagine avesse già in quel tempo assunto rispetto al testo un’importanza non pari a quella quasi esclusiva di oggi ma, comunque, preponderante, anche per lo spazio occupato, rispetto al testo che, superando raramente due linee, fungeva quasi da didascalia. Tutto ciò comportava che la scelta dell’incisore delle tavole venisse operata attentamente. Lo prova il fatto che non è raro incontrare in testi del genere tavole che presentano varianti minime (in alcuni casi nessuna variante) rispetto ad altre realizzate anche decenni prima: l’imitazione della roba di qualità (un eufemismo per contraffazione), insomma, non l’hanno inventata i napoletani e, dopo di loro, i cinesi. Va da sé che il pubblico cui questa produzione era destinata era estremamente ristretto e parecchie pubblicazioni non recano il nome dell’editore (o sono a spese dell’autore), del luogo di edizione e per alcune la data approssimativa si può dedurre solo dalla lettera dedicatoria che quasi di regola le accompagna.
Mi piace immaginare che il nostro Francesco non potesse permettersi il lusso di ricorrere ad un incisore professionista, anche perché, probabilmente, l’idea di dare alle stampe la sua opera non l’aveva nemmeno sfiorato. Per questo la semplicità e la ripetitività dei disegni (alcuni, se si fa attenzione, sembrano ricalcati) rappresentano il valore aggiunto tipico di ciò che è unico, proprio come sintetizzano i nostri nessi fattu ‘mmanu (fatto a mano) e fattu ‘ccasa (fatto in casa). Questa unicità (anche come esemplare, nonostante il fatto che di un manoscritto si potessero fare altre copie più o meno simili) riscatta abbondantemente, secondo me, le inesattezze e i collegamenti concettuali disinvolti e forzati, se non arbitrari, che nel commento ho evidenziato, e impreziosisce il dono. E poi è da sottolineare il taglio “laico” del suo lavoro, quando gli sarebbe stato più facile, credo, sostituire le citazioni da Petrarca e da Virgilio con altrettante tratte dalle sacre scritture.
Non so se tutto questo e qualche altro merito che sicuramente mi sarà sfuggito fu apprezzato pure da Vittorio Prioli, se mai gli giunse il dono.
È certo, invece, che né lui né l’autore avrebbero mai potuto immaginare che esso avrebbe varcato l’oceano per giungere nelle mani di uno studioso che, nonostante fosse un’autorità in questo campo (ma forse proprio per questo …), non gli avrebbe dedicato nemmeno un articoletto.
Lungi da me, comunque, l’idea che ora giustizia sia stata fatta …
____________
1 A beneficio del lettore interessato all’argomento segnalo, pure questi, come i precedenti, tutti reperibili in rete:
Adriano Giunio, Emblemata, Antuerpia, Plantino, 1565.
Paolo Giovio, Dialogo dell’imprese militari et amorose, Rovillio, Lione, 1574.
Scipione Bargagli, Imprese, Bonetti, Siena, 1578 e Francesco de’ Franceschi, Venezia, 1594.
Claudio Paradino, Symbola eroica, Plantino, Antuerpia, 1583.
Johann Theodor e Johann Israel De Bry, Emblemata saecularia, mira et iucunda, s. n., Francoforte, 1596.
Denis Lebey de Batilly, Emblemata, Voegel, Heidelberg, 1600.
Nicola Torello, Emblemata physico-ethica, Lockner, Norimberga, 1602.
Vincenzo Cartari, Le imagini degli dei degli antichi, Tozzi, Padova, 1608.
Otto Van Ween, Amorum emblemata, a spese dell’autore, Antuerpia, 1608.
Daniel Heinsius e Jacob De Gheyn, Emblemata amatoria, s.n. Amsterdam, 1608.
Autori vari, Emblemata moralia, et oeconomica, de rerum usu et abusu, Giansonio, Amsterdam, 1609.
Antoine de La Faye, Emblemata et epigrammata, Choet, Ginevra, 1610.
Pieter Corneliszoon Hooft, Emblemata amatoria, Janszoon, Amsterdam, 1611
Giovanni Sambuco, Emblemata, cum aliquot nummis antiqui operis, Plantino, Antuerpia, 1614.
Zacharias Heyns, Emblemata volsinnighe uytbeelsels, Arhnem, s. l., 1615.
Michele Maier, Atalanta fugiens: hoc est emblemata nova de secretiss naturae chimica, Gallero, Hoppenheim, 1618.
Daniel Cramer, Emblemata sacra, Paltenio, Francoforte sul Meno, 1622.
Giorgio Camerario, Emblemata amatoria, Tozzi, Venezia, 1626.
Giovanni Ferro, Teatro d’imprese, Sarzina, Venezia, 1623.
Otto Van Ween, Emblemata sive symbola, Hubert, Bruxelles, 1624.
Paolo Maccio, Emblemi, s. n., s. l. 1628
Paolo Aresi, Imprese sacre con triplicati discorsi, Calenzano, Tortona, (in sei volumi) 1630-1634.
Guido Casoni, Emblemi politici, Baglioni, Venezia, 1632.
Silvestro da Pietrasanta, Symbola heroica, Waesberg & Wetsten, Amsterdam, 1632.
Guglielmo Esio, Emblemata sacra, Plantino, Antuerpia, 1636.
Giovanni Paolo Rinaldi, Il museo distinto in Imprese & Emblemi, Moneta, Roma, 1644.
Jacob Catz, Poëtische wercken, s. n., s. l.,1645
Joannes De Solorzano Pereira, Emblemata, Morras, Madrid, 1653
Autori vari, Amoris divini emblemata, Plantino, Antuerpia, 1660.
Gioacchino Camerario, Symbolorum et emblematum centuriae quatuor, Kuckler, Magonza, 1668.
Juan de Borja, Empresas morales, Foppens, Bruxelles, 1680.
Iacopo Boschi, Symbolografia sive de arte symbolica, Bencard, Augusta, 1702.
Autori vari, Symbola et Emblemata, Wetsten, Amsterdam, 1705.
2 Oggi produzioni simili, grazie ad un pc e ad una connessione con la rete, potrebbero essere realizzate in una sola giornata a tonnellate. Il problema è che, a differenza del passato, ci sono seri rischi di fraintendere il senso del motto scelto (naturalmente in inglese …, meglio non perdere tempo con l’italiano o, peggio, con il latino) e, dunque, di accoppiargli un’immagine i cui collegamenti non sarebbe in grado di cogliere nemmeno la più sfrenata fantasia.
Hai ritrovato gli antenati dei “fumetti” ovvero come ti erudisco il popolo
Caro Sergio, per l’idea che me ne sono fatto, simili testi, manoscritti o a stampa, a quel tempo non erano destinati certamente al popolo che poco, d’altra parte, avrebbe potuto capire delle dotte citazioni che ne costituivano il nerbo. Insomma, secondo me, per usare il linguaggio attuale, più un prodotto di nicchia che divulgativo, più vicino, forse, al romanzo storico che al fumetto, anche se al testo di quest’ultimo possono essere equiparate, ma solo formalmente, le citazioni e, altrettanto formalmente, i disegni.